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Immagine del redattoreCangrande On Life

Non abbiate paura!

Aggiornamento: 17 apr 2020

Testimonianza di don Damiano ammalatosi di Coronavirus il 28 febbraio e guarito dopo la cura in ospedale,.


1. “Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene chiamato Simone e lo costrinsero a portare la croce di Gesù” (Mt 27,32).

Altro che generosità di Simone! È stato costretto!

È chiaro che anch’io non ho per nulla cercato di ammalarmi ma, come è successo a quell’uomo, ad un certo punto mi è stata posta addosso una malattia più grande di me, di quelle che ti schiacciano e non ti permettono di camminare più come prima.

All’improvviso la sera del 28 febbraio mi compare una febbre che di proposito penso che che non abbia nulla a che fare col Virus, anche perché sentivo che non era accompagnata da difficoltà respiratorie, cosa che io ancora non avevo. Ok, mi sembrava di essere stato prudente ma purtroppo me la devo portare sulle spalle questa cosa fastidiosa,..“ l’importante è che non condanni anche me” pensavo tra me e me.

2. “Sedetevi qui mentre io vado là a pregare. E (...) cominciò a provare tristezza e angoscia”. Mt 26,37.
Don Damiano

Mentre la febbre non accennava a diminuire, incominciai a sospettare che di essermi beccato veramente qualcosa di grosso.


La mia preghiera ha avuto l’ardire di essere persino bugiarda... chiedevo al Signore che questa febbre mi lasciasse non tanto per me ma per coloro che ammalati per davvero dovevano trovare un posto in ospedale libero e non occupato abusivamente da me.


La falsità di queste parole non mi nascondeva l’angoscia di essere sempre più certo che qualcosa di “grosso” aveva già preso possesso di me. 




3. “Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra” (Mt 27, 28-29a)

Dopo il trasporto in ambulanza arrivo in ospedale. Il medico mi chiede alcune informazioni essenziali e mi visita. Dopo un po’ una infermiera mi porta in isolamento. Mi tolgo le poche cose che ho addosso, mi mettono l’ossigeno, mi mettono un ago-cannula con la flebo, e iniziano a farmi altri prelievi. In pochi momenti mi sono sentito cadere in un baratro dove la notte interiore era più densa di quella che era rimasta fuori. “Dio mio! Dove sono finito? Salvami, salvami ti prego!...” 

4. “Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi? Quelli risposero: Barabba!” (Mt 27,21). 

Anche se il sole brillava dietro le grandi finestre della mia stanza, l’angoscia di essere stato condannato ad una simile esperienza mi sembrava un assurdo, una sorta di ingiustizia. “Dio mio! Dove sei? Ma dove sto andando? Questa sofferenza riuscirà a salvarmi? E se non fosse cosi? Potrà la sofferenza di qualcun altro salvare la mia vita di povero peccatore, misero e ingiusto davanti a te?” Ecco, questa era la mia preghiera... essere salvato da uno più giusto di me.

5. “Ha confidato in Dio; lo liberi ora se gli vuole bene! Ha detto infatti: sono figlio di Dio!” (Mt 27,43). 

Durante le notti non riuscivo a dormire... avevo in me il desiderio di sentirmi almeno un po’ meglio del giorno prima ma questa sensazione ancora non la provavo. “Almeno fammi sentire che mi ami, Gesù!... non vedi le mie lacrime? Mi hai promesso che saresti stato sempre con me.. si, si è adesso il momento della fede Gesù e io so che tu non abbandoni il tuo figlio, no non lo abbandoni...”

Le ore passavano molto lentamente, ma in me non avevo il sospetto di essere stato abbandonato anzi, vivevo la coscienza di questa oscurità come di un chicco sepolto in attesa che la terra si squarciasse sopra di lui. 

6. “Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo” (Mt 27, 59-60a).

I giorni passavano con una lentezza infinita. E dopo moltissimi di questi giorni infiniti, così ameno sembravano a me, iniziò all’orizzonte ad albeggiare la speranza. Le medicine, pur rimanendo numerose, stavano ottenendo il loro obiettivo: la febbre diminuiva, la saturazione andava bene e l’ossigeno veniva ogni giorno ridimensionato e questo per me era già una vittoria. Ero felice, era già come avere espulso da me tutto il male che si era annidato in me e averlo ricacciato giù, sotto terra, all’inferno, mentre io, proprio per questo, riprendevo a vivere. 

7. “Osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo- non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte” (Gv 20,6b-7).

Il sabato mattina 21 marzo entra il primario, dopo avermi visitato, decide di togliermi l’ossigeno e mi dice: “don Damiano, adesso deve tornare a respirare da solo! La saturazione è buona e credo che domani possa già lasciare l’ospedale”. “ Caspita che bella notizia!” Commentai. Non appena il medico uscì non persi nemmeno un secondo a risistemarmi quelle poche cose che che tenevo nell’armadietto. Passai quasi tutta la mattina in silenzio guardando fuori dalle grandi finestre della stanza. Il tempo era sereno; gli abeti e la sagoma della chiesa dietro di loro mi offrivano una immagine di serenità e di festa... sapevo che fuori, tra divieti e proibizioni, ce n’era gran poca di festa.

Ma era domenica e per me era il primo giorno di una vita ritrovata.

Verso le dieci arrivarono degli inservienti a rifarmi il letto. Dopo aver detto a uno di loro che ero in procinto di uscire, disse al suo collega: “lascia lì le lenzuola; aspettiamo che vada via, torniamo dopo”. 


Vi ringrazio per aver letto questa testimonianza e vi auguro

BUONA PASQUA A TUTTI VOI

lettori di questo BLOG dell’Istituto Cangrande della Scala di Verona.

don Damiano



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