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  • Immagine del redattoreCangrande On Life

Time is brain, time is heart...

Vi siete mai chiesti cosa vuol dire affrontare il Covid nei due diversi campi di azione su cui si gioca il duello? Eccovi una sommaria descrizione scevra degli aggravi personali che ognuno può aggiungere…


La vestizione in ospedale.

Arrivi in turno. Vai nella stanza filtro e inizi la vestizione. Stai attento a quello che fai perché ne va forse della tua vita. Poni attenzione al movimento di ogni tuo muscolo nel mettere i guanti, nell'infilarti la tuta, la maschera ffp2 (che ti dicono essere sufficiente ma tanti articoli sembrano dire di no ma fa lo stesso) e fai due volte la prova di tenuta. Poi i sovra scarpe, la visiera, e l'ultimo paio di guanti.. Chiedi al collega vicino di darti un'occhiata per vedere che sia tutto a posto. Hai tempo, lo puoi fare con certosina precisione. Entro in area offlimit. Varchi la porta e già ti manca l'aria ma ti dici: "Dai su, resisti. Tra poco ti abitui.” Hai subito prurito al naso perché sai che non te lo puoi grattare. Provi a sfregare la maschera ma l'effetto non è quello che speravi. Inizi a lavorare e gli sforzi fisici nel capovolgere i pazienti ti fanno sudare dentro a quei contenitori stagni. Ti viene sete ma sai già che berrai a fine turno. Hai smesso di bere qualche ora prima di iniziare il turno perché sai che se ti scappa la pipì son rogne grosse... 7 ore, sono solo 7 ore e poi potrai andare in bagno… Dai ce la puoi fare… Dopo qualche ora inizi a sentire un po' di dolore dove la maschera comprime il viso, sopra al naso, sotto agli occhi e ti accorgi che tutto ti sta comprimendo. Ma nulla puoi. Devi resistere e speri che passi nello sviare la mente concentrandoti su quello che devi fare. Finalmente finisci il turno e vai a spogliarti. Ti senti pieno di virus dappertutto. Sono miliardi, attaccati ad ogni millimetro quadrato della barriera che porti addosso.


Sei stanco ma devi organizzare le tue ultime energie per non fare il benché minimo errore nel toglierti di dosso tutti quei miliardi di corone senza che queste possano raggiungere la tua pelle. Attenzione allo spasimo, su ogni movimento, anche il più piccolo, fino alla fine, sempre nella paura di aver sbagliato qualcosa e di essere attaccato da squadroni di Corone... Via la visiera, via la tuta, via la maschera, via il primo paio di guanti. Disinfezione, via il secondo paio di guanti… Avrò sbagliato qualcosa? Esci e corri in doccia per cercare di far scivolare via anche i Corona più accaniti affinché non possano raggiungere le tue vie respiratorie o le tue mucose. Non sai se ci sei riuscito ma ci speri perché domani sarà così un'altra volta. E vai a casa. Ah no. A casa ci sono famigliari, a rischio e quindi chi è fortunato ha la taverna che lo aspetta, chi non lo è vive in dormitori con altri colleghi, e guardi sempre tutti di traverso perché loro potrebbero essersi contagiati (e tu no eh?) e quindi distanze, attenzioni, sanificazione e paura. Un mix onnipresente.

Sui mezzi di soccorso:

Suona il telefono e ti dicono che devi partire per una missione. Domandi. Situazione Covid? Non è chiara. Per precauzione usare i dispositivi. È un codice rosso, dispnea e desaturazione importante... 3 minuti per partire.. Eh si, credici... Vestizione, dai dai dai che i secondi sono oro che cola

(Time is Brain, Time is Heart recitano i protocolli).


E vai. Guanti, tuta (ah no sono finite, ci sono solo i camici che arrivano al ginocchio...) e vabbè, cuffia, camice, maschera ffp2 (la provo adesso? No dai, perdo tempo, la provo in viaggio) visiera, calzari (occhio però che si scivola...) altro paio di guanti e via. Mi sarò vestito bene? E il mio collega? Ci diamo una veloce occhiata finché saliamo a bordo e ci guardiamo negli occhi (si vedono solo quelli) buttandoci addosso la vicendevole speranza di non aver sbagliato... Arriviamo, scendiamo prendiamo quei 25 kg di attrezzatura (zaino, monitor defibrillatore, bombola ossigeno, aspiratore…) e di corsa verso la casa.

In casa dal paziente

Suoni il campanello:"118 Signore, che piano?"...“Terzo.” E te pareva! E su per le scale perché gli ascensori sono off-limits di questi tempi. Arrivi che la bombola dell'ossigeno la useresti tu ma non si può. Ti manca l'aria e la ffp2 ne lascia passare troppo poca. Sei ancora sul pianerottolo e in barba ad ogni regola sollevi un po' la maschera e l'aria fresca che entra nei tuoi polmoni ti sembra la cosa più bella del mondo. Bisogna entrare e la tua immaginazione riempie il corridoio e le stanze di miliardi di Corone che son lì ad aspettare te agguerriti più che mai. Aspettavano proprio te. Fermoooooo!!! ! Prova la maschera! Ah ok! Tiene ok. Si può entrare. Appoggiando l'attrezzatura guardi il paziente.

È grigio e si nota che non respira bene. Attacchi il saturimetro. Finché aspetti il valore misuri la pressione e raccogli qualche dato sulla sua storia, da quanto è così? Ha febbre? Ha fatto tampone? Prende medicine ecc. Il saturimetro intanto dice 75% e il tuo collega, che aveva già preparato l'ossigeno, glielo mette davanti alla bocca con la maschera. Altra mascherina sopra a quella dell'ossigeno (protocollo)...Devo reperire un accesso venoso... Ha 3 strati di vestiti perché aveva freddo e infatti la febbre è a 38.5 e prima non ce l'aveva... Sposti in su i tre strati di vestiti del braccio immaginando il librarsi in aria di miliardi di Corone...E l'aria ti manca ancora di più. Vorresti fuggire fuori per dare un po’ di sollievo ai tuoi polmoni ma non si può. E vai avanti. Ora bisogna scendere in ambulanza e saranno pure in discesa ma i 3 piani son li che ti aspettano impietosi e senza un briciolo di compassione. A vabbè, non abbiamo scelta. Si raccolgono le attrezzature immaginandole imbrattate da miliardi di Corone che non aspettano altro che una tua mossa falsa per beccarti... Giù per le scale speri che vada tutto bene, che il paziente non si complichi perché sarebbero cavoli...

Di corsa in ospedale

Arrivi in ambulanza metti dentro il paziente metti dentro l'attrezzatura controllando di non aver dimenticato nulla e sei pronto per comunicare con la centrale Operativa. Il telefonino accuratamente ricoperto di pellicola per proteggerlo. Quindi il nylon del telefonino, la maschera, la visiera rendono difficile il colloquio. In qualche modo ti fai capire. Situazione e parametri. Ti comunicano la destinazione che, purtroppo, non è l'ospedale più vicino perché sovraccarico e il tragitto aumenta di 15 minuti. Il 15 minuti più lunghi, che non passano mai... Arrivi in ospedale, consegni il paziente a delle mummie uguali a te che riconosci a stento e solo perché hanno il nome scritto col pennarello sulla tuta...

Esci e adesso viene il bello... Devi prepararti per la prossima missione e tutto deve essere pulito e sanificato a dovere perché la guardi la tua ambulanza e la vedi coperta da uno strato di miliardi di Corone che ti stanno sorridendo come per dire:"Ce la farai a cancellarci tutti?"

E parti con la procedura e pezzo dopo pezzo, sanifichi, disinfetti e riponi, nella speranza di averle cancellate tutte, quelle Corone...

Poi devi spogliarti e lo fai con attenzione senonché... Arriva la chiamata che ti dice che appena sei a posto c'è da ripartire.

E la cura e l'attenzione vanno a scontrarsi ancora con la necessità di ripartire, arrivare...

Time is brain, time is heart...

E finito il turno ti fermi a riflettere e pensi se vale la pena…

E ogni volta la risposta si ripete…

Eh sì, ne vale proprio la pena.

in quale altro mondo lavorativo potrei provare quello che provo in questo?

Non ne sono ancora riuscito a trovare uno.

Essere infermiere
Michele sui mezzi di soccorso del 118

Essere infermiere (e non “fare” l’infermiere) è una scelta per la vita. Ti scatta dentro in un certo momento del tuo percorso di crescita. A chi prima, a chi dopo. E’ come una chiamata divina. La senti dentro, quella vocina, che via via diventa un urlo a cui non riesci a porre resistenza. E’ quella voglia di professionalità mescolata a vocazione che si infiltra sotto pelle e della quale non riesci più a fare a meno. La ricchezza che ti viene regalata dalle persone su cui poni le tue mani non è misurabile. La crescita a cui la tua anima è sottoposta non ha confini.

E’ vero, è un lavoro difficile, spesso misconosciuto e anche malpagato, che ti spinge ad uno studio continuo. Ma poche altre professioni diventano stile di vita come questa. In ogni campo di azione, in ogni modalità, in ogni ambiente, in ogni specialità in cui viene esercitata, vissuta, respirata.


E ringrazio ogni giorno per quella volta che ho dato ascolto a quella voce…


Michele Frigotto

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